TRISKELION: antiche leggende avvolte nella nebbia (Capitolo 3)
un racconto originale, a puntate.
******
Capitolo 1:
https://jonathangabrieletto.substack.com/p/triskelion-antiche-leggende-avvolte
Capitolo 2:
https://jonathangabrieletto.substack.com/p/triskelion-antiche-leggende-avvolte-70d
******
Capitolo 3: Discesa nelle tenebre.
Il generatore portato dalle squadre di soccorso, come un cuore artificiale, pulsava nel tetro silenzio della collina. Grossi proiettori squarciavano la nebbia con lame di luce fredda e impietosa, illuminando a giorno l’imboccatura della miniera. L’effetto, tuttavia, era più spettrale che rassicurante: le ombre si allungavano e si contorcevano come creature vive, e la bocca della miniera sembrava ancora più buia, più oscura, un gorgo che minacciava di inghiottire la luce stessa.
Un uomo, che Briòn identificò come John Coulson, caposquadra del team di ricerca e soccorso, un individuo massiccio con una barba rossiccia, si stava consultando a bassa voce con l’ispettore Davies e il dottor Armitage. Di tanto in tanto, il suo sguardo si posava sull’apertura della miniera, valutandone i rischi con evidente competenza. Due membri della sua squadra, un uomo e una donna, entrambi giovani e dall’aspetto atletico, stavano controllando meticolosamente le loro attrezzature: caschi con lampade frontali già accese, corde da scalata, moschettoni che tintinnavano sommessamente, appesi alle loro cinte, e piccole bombole d’ossigeno con maschere facciali.
Càel, visibilmente tormentato, si torceva le mani, incapace di star fermo. Aveva smesso di parlare, ogni energia concentrata nell’attesa, gli occhi fissi sugli eroi che si preparavano a scendere nel buio alla ricerca di sua nipote.
Briòn gli si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla. L’oste sussultò leggermente, poi annuì mestamente, un grazie silenzioso per quel gesto di conforto. Ben Hur, seduto ai piedi di Briòn, emetteva sommessi guaiti, con il muso rivolto verso la miniera e la coda rannicchiata tra le zampe posteriori.
«Dottor Armitage», iniziò l’ispettore Davies con tono grave, «lei conosce questi cunicoli meglio di chiunque altro da queste parti. C’è qualcosa che la squadra dovrebbe sapere prima di entrare? Qualche pericolo specifico, oltre all’ovvia instabilità strutturale?».
Armitage, che aveva osservato il kennish, ora sigillato nel sacchetto delle prove ma ancora stranamente presente, quasi vibrante ai suoi occhi, si riscosse. «Questa miniera, ispettore, è un complesso più antico e intricato di quanto le mappe ufficiali suggeriscano. I livelli inferiori, quelli raramente esplorati dopo la chiusura definitiva nel 1908, si dice che intersechino gallerie naturali e, cosa più inquietante, scavi di epoche ancor più remote. Parliamo di attività minerarie pre-romane, forse addirittura dell’età del bronzo, quando il piombo e l’argento di Man erano già noti. Quegli antichi minatori non avevano le nostre conoscenze geologiche, né la nostra cerimoniosa riverenza verso le superstizioni».
Fece una pausa, mentre il suo sguardo si perdeva nelle tenebre oltre l’imboccatura.
«Cercate tracce di lavorazione insolita, simboli che non appartengano all’epoca vittoriana. E fate attenzione alle correnti d’aria. Alcune gallerie sono cieche, altre potrebbero aprirsi su pozzi verticali non segnalati o, peggio, su… cavità carsiche la cui estensione è a tutt’oggi ignota».
«Respiratori autonomi, allora, per ogni evenienza» - commentò il caposquadra rivolto ai suoi - «e massima cautela. Comunicheremo via radio ogni quindici minuti. Se non ricevete nostre notizie entro venti minuti dalla precedente comunicazione, attivate il protocollo di emergenza».
«Voi due entrate per primi. Mark, Sarah, voi restate qui di supporto. Pronti, qualora necessario».
I due prescelti, un uomo e una donna, verificarono un’ultima volta le lampade sui caschi e si avvicinarono al varco nella recinzione. L’uomo, più anziano e robusto, entrò per primo. Il fascio della sua torcia tagliava l’oscurità come una spada. La donna lo seguì subito dopo. Le loro figure scomparvero rapidamente, inghiottite dal buio.
Per alcuni minuti, l’unico suono percepito da fuori fu il crepitio delle loro radio mentre confermavano l’avanzamento.
«Livello principale sgombro per i primi cinquanta metri», gracchiò la voce dell’uomo dalla radio.
«Molta umidità, stillicidio costante. Odore di terra bagnata e… qualcosa di metallico, acre. Nessun segno della ragazza scomparsa. Procediamo con cautela verso la prima diramazione a sinistra segnata sulla mappa».
Briòn si sentì stringere lo stomaco. L’attesa era snervante. Ogni minuto sembrava un’ora. Il caffè che Càel aveva portato si era raffreddato, ma nessuno aveva voglia di bere. L’attenzione di tutti era catalizzata da quel piccolo apparecchio radiofonico nelle mani dell’ispettore Davies.
«Il ciondolo», mormorò Armitage, avvicinandosi a Briòn, quasi per non farsi sentire dagli altri, sebbene l’ispettore fosse a pochi passi. «Lei lo ha tenuto in mano, signor Madigan. Ha avvertito qualcosa? Una sensazione particolare?».
Briòn ripensò a quel formicolio, a quel peso innaturale.
«Sì, a dire il vero. Un gelo intenso, nonostante fosse nel fango. E un… un ronzio, quasi impercettibile, come se vibrasse. E quel soffio d’aria gelida dalla miniera, con quei sussurri…».
«Sussurri, dice?». L’interesse di Armitage si acuì. «In che lingua, se così si può dire?»
«Non saprei. Non sono stato in grado di distinguere delle vere e proprie parole. Ma non era il vento, ne sono certo. Ben Hur li ha sentiti e si è spaventato». Il labrador, al suono del suo nome, alzò la testa e uggiolò piano, come a conferma delle parole del padrone.
«I cani, specialmente alcune razze, hanno una sensibilità maggiore a certe… frequenze», commentò Armitage. «Il ciondolo è un catalizzatore, signor Madigan. Un amplificatore. E a volte, una chiave. Elara, con la sua passione per queste storie, potrebbe averne trovato uno simile, o essere stata attratta da questo. E potrebbe aver involontariamente attivato qualcosa, o aperto un varco».
«Un varco? Un varco per cosa, dottore?», chiese Briòn sbigottito. Armitage lo fissò con una strana luce negli occhi. «Per l’Isola come era un tempo. O per come esiste ancora, su un piano diverso dal nostro. L’Isola di Man è un luogo liminale, signor Madigan. Un confine tra mondi, fin dalla notte dei tempi. E la Snaefell, con le sue radici profonde, è uno dei suoi gangli più potenti».
Passarono altri dieci minuti. La comunicazione radio successiva era attesa a momenti. L’ispettore Davies guardò l’orologio e poi la radio, con crescente impazienza. «Squadra 1, qui Base. Rapporto».
Silenzio. Solo il fruscio statico. «Squadra 1, mi ricevete? Rapporto», ripeté Davies con più forza. Ancora silenzio. Il caposquadra Coulson si avvicinò e prese un’altra radio, sintonizzata sulla stessa frequenza. «Dave, Jenny, rispondete. Qui John».
Il silenzio che seguì fu rotto solo dal vento che ululava tra le rovine della miniera e dal lontano, monotono e quasi impercettibile frangere delle onde.
Càel emise un gemito soffocato e si coprì il viso con le mani. La notte stava infine per mostrare il suo volto più oscuro.
CONTINUA……..
22 giugno 2025
Jonathan Gabrieletto