TRISKELION: antiche leggende avvolte nella nebbia (Capitolo 4)
un racconto originale, a puntate.
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Capitolo 1: Un brutto presentimento.
https://jonathangabrieletto.substack.com/p/triskelion-antiche-leggende-avvolte
Capitolo 2: L’ispettore Davies.
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Capitolo 3: Discesa nelle tenebre.
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Capitolo 4: Una squadra improbabile.
«Sono trascorsi ventidue minuti dall’ultima comunicazione» disse Coulson, controllando l’emozione a fatica. «Attiviamo il protocollo. Mark, Sarah, preparatevi. Io vengo con voi».
Si rivolse quindi a Davies: «Ispettore, lei resti qui con i suoi uomini e il signor Kinvig. E chiami rinforzi da Douglas. Qualunque cosa sia successa là dentro, potrebbe essere al di là delle nostre capacità».
«Non se ne parla» intervenne Armitage, con sorprendente fermezza. «Se c’è qualcosa di insolito, qualcosa che non rientra nei normali parametri, la mia presenza potrebbe essere molto più che utile, direi quasi indispensabile. Conosco i simboli, le leggende. Potrei riconoscere qualcosa che per voi non ha significato».
«Dottore, è troppo pericoloso» obiettò l’ispettore. «La vita stessa è pericolosa, ispettore» replicò Armitage, con un lampo negli occhi. «Ma la conoscenza non acquisita è un pericolo maggiore. E quella ragazza è mia amica. Una mente brillante. Vi devo aiutare per forza».
Briòn sentì una strana spinta interiore. Il suo blocco creativo era svanito, sostituito da un’urgenza quasi febbrile di scrivere. Questa era una storia vera, terribile, che si stava dipanando davanti ai suoi occhi. E lui non poteva restare semplicemente a guardare.
«Vengo anch’io» disse, sorprendendo anche sé stesso.
«Signor Madigan!» esclamò l’ispettore. «Assolutamente no. Lei è un civile. Non ha alcun addestramento».
«Ho Ben Hur» ribatté Briòn, indicando il labrador che ora si era alzato e lo fissava intensamente. «Ha un fiuto eccezionale e ha già dimostrato di percepire cose che noi non vediamo. E poi, ho tenuto in mano quel ciondolo e… non so come spiegarlo… ma forse c’è una connessione.»
Era una scusa debole, lo sapeva, ma sentiva di doverci provare. Il cinismo che talvolta lo affliggeva era stato spazzato via da un’ondata di… qualcosa… che assomigliava pericolosamente al coraggio, o forse solo a un’incosciente curiosità.
«E io sono l’oste del villaggio che conosce ogni pietra di questa collina, anche se non queste gallerie maledette!» si inserì Càel, stravolto ma determinato. «È mia nipote! Non posso restare qui ad aspettare come un invalido!»
Coulson li guardò tutti, scuotendo la testa. «Signori, questo non è un circo. È una situazione di potenziale pericolo mortale».
«John» disse l’ispettore, dopo un momento di riflessione - «il dottor Armitage potrebbe effettivamente esserci d’aiuto. Ha studiato questi luoghi per tutta la vita. Quanto invece al signor Madigan e al signor Kinvig…» - si interruppe, combattuto.
La disperazione negli occhi di Càel era pronta ad esondare. E Briòn, pur essendo solo uno scrittore, emanava una strana calma, una particolare determinazione.
«Possiamo fornire loro caschi e lampade di riserva» disse Sarah, uno dei due membri della squadra SAR rimasti in superficie. «Ma devono restare sempre dietro di noi e obbedire a ogni ordine, senza discussioni. E il cane… se è addestrato e non crea problemi…»
Ben Hur, come se volesse rispondere, si sedette composto, scodinzolando appena una volta. Davies sospirò. «D’accordo. Armitage viene. Madigan e Kinvig possono seguirvi, ma alle condizioni di Coulson. Al primo segno di pericolo reale per loro, o se intralciano le operazioni, Harris li riporterà fuori. È chiaro?». Tutti annuirono.
«E il ciondolo?» - chiese Armitage - «credo sia opportuno che venga con noi. Potrebbe reagire, indicarci qualcosa». L’ispettore esitò, poi prese il sacchetto delle prove. «Lo terrò io. Lei mi dirà cosa osservare».
Mentre Mark e Sarah distribuivano i caschi e le lampade frontali a Briòn e Càel, spiegando rapidamente il loro funzionamento, Coulson si avvicinò a Ben Hur. Il cane gli annusò le dita, poi gli leccò la mano. «Sembra un bravo cane» ammise il caposquadra. «Speriamo che il suo fiuto ci sia più utile di quanto lo siano ora le nostre radio».
Pochi minuti dopo, un piccolo gruppo si apprestava a varcare di nuovo la soglia della miniera. In testa, John Coulson, seguito da Mark e Sarah. Dietro di loro, il dottor Armitage, con la sua borsa di cuoio e una concentrazione quasi mistica. Poi Briòn, con Ben Hur al guinzaglio corto, che annusava l’aria con insistenza. Chiudeva la fila Càel, pallido in viso, e l’ispettore Davies, che stringeva il sacchetto con il ciondolo come se fosse una bomba pronta ad esplodere.
Il primo impatto con l’interno della miniera fu oppressivo. L’aria era fredda, satura di umidità e di un odore complesso, un miscuglio di terra bagnata, roccia frantumata, metallo, ruggine e qualcos’altro, un sentore vagamente organico, come di foglie marce o funghi, ma più penetrante, quasi dolciastro ma nauseabondo. Il silenzio era totale, rotto solo dal gocciolio dell’acqua dalle pareti e dalla volta, e dal respiro affannoso di Ben Hur. I fasci di luce delle loro lampade danzavano sulle pareti irregolari, rivelando venature di quarzo che brillavano come diamanti incastonati nella roccia scura, chiazze di umidità verdastra e strane efflorescenze saline.
«Ricordate» - disse Coulson a bassa voce - «restate uniti. Non toccate nulla se non strettamente necessario. Occhi aperti». Ben Hur tirò leggermente il guinzaglio, abbassando il muso verso il terreno fangoso. Annusava con insistenza un punto vicino alla parete destra. «Cosa c’è, bello?» mormorò Briòn, illuminando l’area. Non si vedeva nulla di particolare, solo il fango e alcune pietre smosse.
Ma il cane continuava a raspare con una zampa, emettendo un leggero uggiolio.
«Forse ha trovato qualcosa… una traccia di Elara…» suggerì Càel, con un filo di speranza.
«O dei nostri colleghi» - disse Mark, uno dei membri SAR. «Procediamo. Dobbiamo raggiungere il punto dell’ultima comunicazione».
Si inoltrarono ancora per un centinaio di metri, seguendo il cunicolo principale che sprofondava dolcemente nelle viscere della collina. Le pareti trasudavano acqua, e in alcuni punti il terreno era così fangoso che gli scarponi venivano risucchiati fino alle caviglie. L’architettura della miniera era rozza, chiaramente opera di uomini che badavano più alla sostanza che alla forma. Travi di legno marcio puntellavano la volta in alcuni tratti, molte spezzate o crollate, testimonianza silenziosa del tempo trascorso e dell’incuria. Improvvisamente, Ben Hur si bloccò, drizzando le orecchie e ringhiando sommessamente verso una diramazione laterale, un cunicolo più stretto e buio che si apriva sulla loro sinistra.
«Cosa c’è?» chiese Coulson, fermando il gruppo. Tutti puntarono le torce in quella direzione. Il cunicolo sembrava terminare dopo pochi metri in un ammasso di detriti franati. «È la diramazione che la prima squadra doveva esplorare» disse Mark. «Dave? Jenny? Ci siete?» chiamò Coulson.
Nessuna risposta.
Quel silenzio, all’interno della miniera, era diverso da qualsiasi altro silenzio Briòn avesse mai sperimentato. Non era assenza di suono, ma una sua compressione, vibrante, che sembrava premere sui timpani.
Ogni piccolo rumore – una goccia che cadeva, un sasso smosso da uno scarpone, il loro stesso respiro – era amplificato a dismisura, in modo innaturale.
«Andiamo a vedere» disse Coulson, dopo un momento. «Mark, tu apri la strada. Sarah, coprigli le spalle. Gli altri, aspettate qui. Non affolliamo il passaggio».
Mark si inoltrò con cautela nella galleria laterale, facendo danzare il fascio della sua lampada sulle rocce. Dopo pochi passi, si fermò.
«John, vieni a vedere»
CONTINUA……
7 luglio 2025
Jonathan Gabrieletto